cro marketing strategie

Uno degli aspetti più sottovalutati anche tra i cosiddetti guru, SEO specialist, esperti della comunicazione e compagnia cantando, è il CRO marketing  No… Non ha nulla a che vedere con l’acronimo bancario caro agli amministrativi (il codice riferimento applicazione che serve a comprovare al creditore l’avvenuto pagamento).

Il CRO marketing va oltre il SEO, il posizionamento di un sito web e risponde alla vitale necessità che per un imprenditore (avveduto) non può che imperare: quella di massimizzare il ROI, ossia il Return On Investment… il ritorno sull’investimento: vale a dire, ho un sito web, ho investito nel posizionamento, a volte sborsando cifre non giustificate, anzi non congrue o meglio ancora inutili (ci sarebbe da scrivere per ore, ma questa è un’altra storia; rimandiamo al nostro articolo relativo al link building), quanto mi ritorna del mio investimento?

Perché chiaramente non importa tanto e solo quanto si spende ma l’aspettativa tutta da realizzare che ciò investo mi frutti: che un utente ci trovi va bene ma non vuol dire molto, dopo tutto; o meglio, è necessario che un utente, un potenziale cliente, diventi effettivamente un nostro cliente. Il che non è un automatismo: non è come per un supermarket dove si entra per fare la spesa, il percorso che porta dal primo “contatto” alla chiusura del “contratto” va ben oltre quella “r” di differenza; si tratta di un processo spesso lungo, fatto di momenti interlocutori, di trattative, ripensamenti.

E qui entra in ballo un parametro fondamentale che è la Conversion Optimization: l’ottimizzazione di conversione, intesa come massimizzazione della quota parte di visitatori, del traffico del nostro sito web, in clienti.

Stiamo parlando di tutte quelle strategie, o come preferiamo definirle, quella visione d’insieme che consente di beneficiare della visibilità sul web e non solo.

Call to action differenziate: perché è importante!

Il CRO marketing è umanocentrico, se vogliamo identificarlo con un aggettivo, perché va ben oltre l’esigenza di essere visibile, di avere il proprio sito ben posizionato nelle SERP dei motori di ricerca; è basato ad esempio sul fatto che – e questo è un aspetto cruciale – il target cui ci rivolgiamo, il “bacino di utenza”, l’insieme dei visitatori del nostro sito non è poi così omogeneo, anzi, non lo è mai o quasi mai: è arrivato al nostro sito per motivi diversi e di questo dovremmo tenerne debitamente conto per indirizzarlo al meglio alle sezioni specifiche di interesse se vogliamo avere qualche chance di averlo come cliente e non solo come visitatore.

Supponiamo che il nostro sito web sia quello di un’agenzia di servizi: alcuni degli utenti che visitano il sito magari già sanno cosa serve loro, hanno “soltanto” (diciamo, primariamente) necessità di un preventivo, magari da raffrontare con altri di competitors; altri (potenziali) clienti potrebbero necessitare di maggiori informazioni su ciò che fa al loro caso… Intent diversi (e questo lo si può desumere dalle query di ricerca a volte, ma non sempre), esigenze diverse, call to action diverse che guidino in modo efficiente ed efficace l’utente. Nel caso di specie dovremo pensare ad una call to action verso un pagina contenente form di preventivo per la prima tipologia di utente e ad un link ad una sezione faq – ad esempio – oppure ad una post che illustri nel dettaglio il servizio ricercato e che noi offriamo e che magari chiarisca esaustivamente le idee al nostro fantomatico visitatore.

Detto così può apparire un concetto quasì di banale buon senso, ma in realtà è un principio niente affatto scontato, ma soprattutto è tutt’altro che implementato nella stragrande maggioranza dei casi e non è per niente facile metterlo in pratica, per molteplici ragioni; questo significa spesso perdere un potenziale cliente (molti, ahimé) perché frustrato magari non trova subito la risposta alla sua domanda.

Customer journey e user experience

Sempre a tale scopo è utilissima un’analisi approfondita del percorso che i vari utenti seguono nelle pagine del nostro sito, come pure capire anche attraverso questionari quale siano le criticità incontrate per cui alla fine magari, tanto per esemplificare con un caso dei più classici, un utente abbandona il carrello del nostro e-commerce; ma gli stessi sondaggi magari ci aiuteranno anche a capire il perché un utente si sia rivolto a noi e non ai nostri competitors. E anche ciò potrà forse apparirci ozioso, ma non lo è…

Il nostro sito è usabile? Dove può essere migliorato in tal senso? La navigazione è fluida? I testi sono ben leggibili, chiari e comprensibili anche a chi non è del settore? Riesco a fornire subito a chi lo visita ciò di cui necessita? Come posso far tornare un cliente (una volta si parlava di “fidelizzazione”)?. Le landing page sono strutturate in modo efficace secondo un design ottimizzato? Queste non sono che le domande più facili (o forse no alla fine dei conti).

Si tratta di un processo complesso, altamente dinamico, chiaramente mai definitivo, in continua evoluzione e basato su tantissimi elementi e dati: va studiata la tipologia di traffico, bisogna interpretare il comportamento dell’utente, capire come interagisce con il nostro sito e combinare tutte queste informazioni elaborate in modo concreto e sintetico, tradurle in una migliore user experience, il che implica una maggiore percentuale di utenti che diventano (o possono diventare con maggiore probabilità) clienti.

La cosa estremamente interessante è che esistono degli strumenti appositi, validissimi per poter dare una risposta ai quesiti sopra rappresentati proprio perché consentono di fornire una quantificazione a quesiti che sembrerebbero necessitare di risposte puramente qualitative. Finora abbiamo menzionato solo i sondaggi ma ve ne sono diversi altri di notevolissima importanza. Tenere sempre a mente un principio sacrosanto: tutto ciò che è misurabile è migliorabile!

Heat map / Mappe di calore

Si tratta di uno strumento veramente formidabile che consente di valutare i vari elementi di una pagina maggiormente notati/fruiti dall’utente durante la navigazione, ciò che nella pagina desta maggiore attenzione e di conseguenza funziona meglio, dove l’occhio umano nella pagina si sofferma di più. In aggiunta vengono registrate tutte le azioni dei visitatori: click ma anche passaggi del mouse, gli scroll di pagina e per ognuno di queste azioni è possibile avere una mappa di contrasto cromatica. Il principio è lo stesso di una mappa di calore meteo: i colori caldi (dal giallo al rosso) stanno a significare maggiore interazione; quelli dal verde al blu invece le parti di una pagina web meno suscettibile di interazioni.

Test A/B

Si tratta di un test ben noto e collaudato, di un grande classico del Marketing Funnel, un modello usato per descrivere e analizzare il percorso compiuto dal consumatore nel processo di acquisto di un prodotto o servizio: A e B sono semplicemente due scelte di pagine (come una pagina di destinazione) con elementi diversi. Il traffico viene annotato su entrambe le pagine per verificare quale sta realizzando più profitti. E’ un tool mutuato dal social marketing laddove ad esempio nelle campagne promozionali di facebook negli advertising si sperimentano due possibilità con un budget di prova per sondare e mettere a confronto rapidamente due strategie per scoprire quale delle due ottiene i risultati migliori: fissata la variabile da testare il budget viere ripartito uniformemente tra le due versioni (due foto diverse, due video diversi o anche due testi diversi, due elementi alternativi tra cui siamo indecisi) e alla fine si misurano le differenze di prestazioni in base al Costo per risultato oppure al Costo per conversion lift.

Tra le altre cose, si tratta di azioni che incrementano il CRO marketing ma al contempo vanno a migliorare anche alcuni importanti parametri alla base degli algoritmi del posizionamento: si pensi alla user experience (l’esperienza utente), alle valutazioni dei quality raters.

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